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Come ottimizzare il percorso di crescita della rete.

“Mi sono stufato del mio capo. Domani mi licenzio, prendo il TFR e apro un’attività in franchising”. “Siamo preoccupati per il futuro di nostra figlia neo-laureata. Stiamo pensando di aprirle con le nostre liquidazioni un negozio in franchising, almeno le lasciamo un mestiere”. “Ho sentito che il franchising è in forte crescita. Voglio fare un investimento di capitale aprendo un’attività di un marchio che funzioni commercialmente”.

Chiunque si occupi di sviluppo di una rete in franchising si è trovato a confrontarsi con persone che partono da questo tipo di scenario. Situazioni ce ne sono molte altre, ma tutte accumunate da alcune caratteristiche trasversali dei potenziali franchisee:

  1. Scarsa preparazione imprenditoriale;
  2. Ridotta (o nulla) esperienza nel commercio;
  3. Tendenza a sottostimare l’impegno richiesto (in termini economici e di tempo);
  4. Tendenza a sovrastimare gli utili derivanti dall’attività.

Questo comporta, fisiologicamente, un tasso di redemption molto basso, che, nella nostra esperienza, abbiamo verificato essere tra il 2 ed il 4% (% di aperture su numero complessivo di richieste informazioni).

Due fattori sono estremamente preoccupanti:

  1. Appare esserci ormai una diffusa rassegnazione rispetto al fatto che questo tipo di dinamica sia normale, quasi inevitabile;
  2. I franchisor italiani tendono ad essere strutture relativamente piccole che fanno difficoltà a sostenere l’incredibile mole di lavoro necessaria per gestire quel 96-98% di richieste informazioni che non portano ad un’apertura. Per dirla in gergo economico: il costo opportunità di questo tipo di gestione è troppo alto. Si “sprecano” risorse che dovrebbero essere dedicate ad attività più proficue.

D’altro canto, non è ipotizzabile risolvere i problemi con una soluzione “semplicistica” quale affidare lo sviluppo rete in outsourcing. Chi ci ha provato, lo ha scoperto dolorosamente sulla propria pelle: demandare lo sviluppo ad una società esterna è (per quanto teoricamente affascinante) praticamente inconcludente. Sviluppare la rete è e deve restare la raison d’etre di un franchisor.

Cosa fare quindi?

È necessario uno stravolgimento totale di paradigma basato su 3 postulati:

  • L’attività di scouting non può essere esclusivamente reattiva, ma deve diventare proattiva. Il franchisor deve individuare il profilo target del proprio franchisee ed andare alla ricerca di persone che abbiano le caratteristiche corrette;
  • La licenza va proposta come se fosse un prodotto: non bisogna focalizzarsi né sui tratti distintivi della licenza rispetto ai concorrenti, né sulle caratteristiche della licenza che piacciono al franchisor. È necessario, invece, presentarla specificando tutti i vantaggi (ed i vincoli) che porterà nella vita del franchisee;
  • Gli altri franchisor non sono concorrenti ma partner: ogni licenza ha un suo profilo di franchisee target. Non serve “litigarsi” i franchisee, ma piuttosto condividere il database di persone interessate ad aprire in franchising affinché si possa effettuare un “matching” tra profilo e licenza che beneficia tutti i franchisor.

Utopia? No, si tratta di progetti solidi e reali che diverse aziende hanno già iniziato ad intraprendere. Ne parliamo insieme, se avete piacere, al Salone del Franchising.

 

Stefano Davanzo, Tacoma.

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