Il franchising è disciplinato in Italia dalla Legge 6 maggio 2004, n. 129 (“Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale”).
Diversamente da quanto generalmente ritenuto, tuttavia, la Legge 129/04 non è l’unica fonte regolatrice della materia del franchising: nel panorama giuridico vi è infatti una nutrita serie di disposizioni che occorre considerare nell’interpretazione di un contratto di franchising o nella soluzione di una problematica da esso derivante.
Si tratta in particolare di disposizioni del Codice civile, del Codice della proprietà industriale (o “CPI”, D.Lgs. 30/2005) oppure di fonte comunitaria come, in particolare, il Regolamento europeo in materia di accordi verticali tra imprese (Reg. UE 330/2010) e le relative Linee direttrici (Orientamenti 2010/C-130/01).
La legge 129/04 sul franchising
Legge 129/04. Tale frammentazione deriva principalmente dal fatto che la L. 129/04 è una legge di disclosure, quindi di “trasparenza” preventiva: essa infatti impone perlopiù doveri informativi antecedenti all’instaurazione del rapporto e tesi a fornire al potenziale franchisee informazioni sul franchisor e sulla sua rete. Essa si rivolge quindi al momento dell’informativa precontrattuale, essenziale ai fini di una ponderata analisi da parte del potenziale affiliato ai fini del decidere se stipulare o meno un contratto di franchising. La scelta del Legislatore del 2004 fu, quindi, di non interferire sui contenuti contrattuali, salvo solo per pochi aspetti quali il requisito della forma scritta, il divieto di trasferire la sede dell’attività e il vincolo della durata minima del rapporto (sino all’ammortamento dell’investimento iniziale).
Per il resto, il contenuto del rapporto contrattuale è liberamente determinabile dalle parti, ma nei limiti delle norme di legge cogenti applicabili, sia nazionali che europee.
Il Codice civile sui contratti di franchising
Codice civile. I contratti di franchising contengono usualmente una serie di obblighi a carico del franchisee, il cui scopo è quello di tutelare il franchisor, titolare della formula commerciale e dei diritti di proprietà intellettuale trasmessi al franchisee, da un uso non corretto o distorto degli stessi. Proprio per non snaturare la formula commerciale e non svilirne il valore, nello svolgimento dell’attività il franchisee si deve attenere alle precise indicazioni del franchisor.
La natura e gli effetti di tali obblighi non derivano però solamente dalle clausole del contratto che li contengono, ma sono in larga parte riconducibili a principi di diritto e a norme contenuti nel Codice civile: tra esse, in particolare, meritano espressa menzione l’art. 1353 sulle condizioni sospensive e/o risolutive del contratto, l’art. 1382 sulle penali contrattuali, gli artt. 1453-1456 sulla risoluzione del contratto per inadempimento, l’art. 2596 sul patto di non concorrenza oltre che, infine, l’art. 1341 sulle clausole onerose.
Il Codice della proprietà industriale
Codice della proprietà industriale. Altre obbligazioni contrattuali trovano invece fonte ispiratrice e piena legittimità nelle disposizioni del CPI (D.Lgs. 30/2005), l’impianto normativo appositamente dedicato a tutela dei diritti di proprietà intellettuale da usi impropri o illeciti da parte del franchisee o di terzi. Si tratta in particolare di disposizioni che mirano a salvaguardare i segni distintivi e il know-how del franchisor (marchi, brevetti, sistemi o formule anche non brevettati, informazioni segrete o informazioni operative non facilmente accessibili, ecc.).
La Normativa europea
Normativa europea. Infine, i contratti di franchising sono altresì governati dalla normativa europea in materia di accordi verticali tra imprese e intese restrittive della concorrenza (Reg. UE 330/2010 e Orientamenti 2010/C 130/01). Sulla base delle relative disposizioni trovano quindi piena legittimità, nei contratti di franchising, clausole aventi ad oggetto: l’obbligo di esclusiva di prodotto (monomarchismo); l’obbligo di approvvigionamento esclusivo; l’obbligo di acquisti o di fatturato minimi (target); l’imposizione di prezzi di rivendita; l’obbligo di non concorrenza contrattuale o di non concorrenza post-contrattuale.
Conclusioni. Il quadro descritto vuole evidenziare come molte delle obbligazioni che spesso si rinvengono in un contratto di franchising, oltre ad essere espressione del principio di autonomia contrattuale stabilito dall’art. 1322 del Codice civile, hanno in realtà anche una loro precisa fonte normativa, per quanto sovente essa non venga espressamente menzionata nel contratto. Tale mancato richiamo alle disposizioni di legge applicabili pone in seria difficoltà, in particolare, chi non è avvezzo al diritto poiché rende estremamente arduo (se non alle volte impossibile) comprendere se una determinata clausola contrattuale sia o meno legittima oppure se lo sia solo in parte. Un qualsiasi vincolo a carico del franchisee potrebbe, ad esempio, essere legittimo per Legge, ma solo se contenuto entro certi limiti, al di fuori dei quali risultando invece illegittimo nel suo complesso; ma ciò può saperlo solo un esperto della materia.
Ecco perché la conoscenza delle diverse normative afferenti al franchising e della loro applicazione nella pratica è il presupposto indefettibile per valutare con cognizione di causa un contratto prima della sua stipula, al fine di accertare l’eventuale presenza di condizioni inaccettabili oppure, in una legittima trattativa con la controparte, di tentare di correggere, almeno parzialmente, eventuali squilibri, cosa che invece successivamente alla stipula risulta spesso difficile o alle volte impossibile.
Articolo di Avv. Emanuele Walzel, Studio Legale Walzel