Articolo di Alessandro Cravera* su Il Sole 24 Ore
Stiamo sviluppando la tendenza a cercare e a dare credito a soluzioni semplici, ancorché semplicistiche, rimuovendo tutto ciò che ci appare complesso.
Viviamo in un modo interconnesso ma non abbiamo ancora ben compreso come la complessità cambia la società, l’economia, la politica e le nostre vite. Tutto ciò che oggi accade è frutto di infinite interazioni, diverse concause e condizionamenti reciproci. Ogni decisione che prendiamo genera molteplici effetti e rende difficile prevedere l’evoluzione degli scenari futuri.
In questa realtà interconnessa sta emergendo un fenomeno pericoloso: la negazione della complessità, collegato a un reiterato bisogno di sicurezza. Stiamo sviluppando una generale tendenza a ricercare e a dare credito a soluzioni semplici, ancorché semplicistiche, rimuovendo tutto ciò che ci appare sfumato, ambiguo, complesso. In un mondo di grigi, stiamo ragionando ancora in bianco e nero.
Questo fenomeno è incentivato da leader che, anziché educare a vivere nella complessità, inneggiano a soluzioni semplici e di rapido successo. Il messaggio che arriva da loro è tanto tranquillizzante quanto pericoloso: se non si raggiungono gli obiettivi, non è a causa della complessità dei problemi da affrontare, ma dalla mancanza di coraggio di chi dovrebbe decidere o dall’inutile tendenza a trovare compromessi tra le parti in causa. Si tratta di un messaggio che, facendo leva sul bisogno di sicurezza delle persone, genera facili consensi.
Questo mondo interconnesso sta quindi paradossalmente premiando forme di leadership che non riconoscono la complessità della realtà, anzi basano la loro forza proprio sulla negazione della stessa. Se le risposte ai problemi sono semplici e occorre solo avere il coraggio di realizzarle, torna in auge un’idea di leader forte, privo di dubbi e tentennamenti. Un leader che sa cosa fare, indica con fermezza la strada e crea seguaci che lo supportano nel suo cammino. Una situazione che Altan ha ben raffigurato in una vignetta in cui una persona chiede a chi lo sta seguendo: «Ma dove stiamo andando?». E ottiene la risposta: «E che ne so, sono un suo follower».
Le imprese non sono immuni da questo fenomeno. Perennemente alla ricerca di leader visionari che indichino agli altri la strada del successo, rischiano di trasformare le persone che lavorano al loro interno in meri seguaci che seguono le indicazioni del vertice. Smettono di farsi domande, talvolta per cieca fiducia nel leader, talvolta per mero opportunismo, ben sapendo che i leader forti non apprezzano il confronto e, men che meno, il dissenso rispetto al loro punto di vista.
Gli effetti sulla politica internazionale e sull’economia sono tali che è giunto il momento di chiederci se l’attuale concetto di leadership sia compatibile con un mondo interconnesso. E quale forma dovrebbe prendere una leadership moderna e attrezzata a vivere la complessità del presente. Roberto Poli, nel suo libro «Lavorare con il futuro», scrive: «Nel caso dei sistemi complessi, il meglio che possiamo fare è imparare a danzare con loro»: vanno seguiti nella loro dinamica, accompagnati e delicatamente condotti nella direzione che appare più adeguata, sapendo che ogni intervento potrà generare – e di solito genera – effetti imprevisti. Per questo è importante “sentire” il sistema, saggiare i passi da fare in una costante interazione con esso, muovendosi delicatamente ed essendo pronti a intraprendere un’azione diversa, se necessario».
Se il meglio che possiamo fare è “danzare con la complessità”, accompagnarla delicatamente nelle sue dinamiche evolutive, la leadership dovrebbe rifuggire dalla semplificazione e dall’eroismo dell’azione diretta. In un mondo interconnesso la leadership dovrebbe moltiplicare i punti di osservazione e di contatto, le esplorazioni e gli indirizzi, non mirare a seguire pedissequamente la strada indicata da un leader.
«Agisci sempre in maniera che il numero delle possibilità cresca», è questo il consiglio che Heinz von Foerster dà per affrontare la complessità. Lungi dal ridurre le menti pensanti, occorre moltiplicarle; lungi dallo scegliere un’unica via, occorre stimolare la continua e contemporanea ricerca di nuove strade; lungi dal ricercare l’omogeneità comportamentale, occorre favorire la diversità, accoglierla, integrarla, farla propria. Più che puntare all’organizzazione delle persone, occorre mirare a far emergere dinamiche di auto-organizzazione all'interno dell'impresa. Non si tratta di creare contesti democratici in cui ognuno vota per individuare la scelta migliore, bensì di diffondere la consapevolezza della situazione, dei trade-off ad essa correlati e dalle implicazioni delle diverse opzioni sul tavolo.
Un bell’esempio è rappresentato dal progetto Share Space lanciato da Hans Mondermann che, qualche anno, fa in alcune cittadine di medie dimensioni, ha deciso di eliminare ogni forma di cartellonistica stradale. Immediatamente a tutti coloro che scendevano in strada erano chiari gli impatti delle loro scelte e dei loro comportamenti sulla collettività. La responsabilità individuale di fare scelte compatibili con la sicurezza degli altri ha creato una dinamica auto-organizzata che ha influito positivamente sulla responsabilità collettiva. Un cambiamento del contesto ha educato le persone a riconoscere le interdipendenze e a vivere consapevolmente e responsabilmente le dinamiche sociali che stavano sperimentando. Chi ha mutato quel contesto ha espresso una nuova forma di leadership.
Share Space ci indica una nuova strada da seguire. Indica una leadership che non accentra su di sé le scelte, non crea seguaci dal cervello spento, non vende ricette semplicistiche per affrontare i problemi di oggi. Indica, al contrario, una leadership, magari invisibile, che educa alla complessità, responsabilizza le persone, le rende partecipi di questo cambiamento e, soprattutto, le rende protagoniste della sostenibilità del mondo di domani.
*Partner di NEWTON S.p.A.