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Augusto Bandera, Segretario Generale di Assofranchising, intevistato da Start Franchising

“In Italia il franchising rappresenta il sette per cento del retail, negli Stati Uniti il quaranta. Anche in Europa, in Francia per esempio, il sistema dell’affiliazione commerciale è più diffuso e noto rispetto al nostro Paese. E quindi bene, vuol dire che il potenziale di crescita da noi è altissimo”.

Augusto Bandera, segretario generale di Assofranchising in carica dal gennaio di quest’anno, è un’iniezione di visione aziendale e manageriale all’interno della storica associazione del settore. Non a caso arriva dalla Vodafone, dove gestiva alcuni canali di vendita rivolti al b2b, in franchising. “Mentre ricoprivo quest’ultimo ruolo di direttore marketing e vendite Soho – spiega Bandera - sono venuto in contatto con Assofranchising, tramite Confcommercio”.

Come si fa a trasformare il potenziale Abbiamo bisogno di imprenditori che non investano in una insegna, ma nel business format franchising di crescita del settore in una crescita effettiva? Da dove si comincia?

Da anni ormai il Rapporto Assofranchising descrive e documenta il settore del franchising con dati positivi in termini di incremento di giro d’affari, di operatori e di punti vendita aperti. Il potenziale di cui parlo è soprattutto nella diffusione di questa formula al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. E il primo passo da compiere, quindi, è promuoverla il più possibile, innanzitutto presso gli attori del commercio tradizionale, sfatando un mito: i negozi indipendenti non chiudono per colpa delle catene, ma per una crisi strutturale del retail per la quale il franchising rappresenta una delle soluzioni più efficaci. Da qui l’obiettivo di stringere un’alleanza sempre più forte proprio con player che dialogano quotidianamente con commercianti e imprenditori, Confcommercio ne è il principale esempio.

Da dove partite per promuovere la formula?

Abbiamo recentemente commissionato un sondaggio all’Istituto Piepoli per misurare il livello di conoscenza del franchising da parte degli Italiani. Ne è emerso che nonostante siano sempre di più gli italiani che apprezzano e scelgono questa formula per il proprio business, al momento ancora la metà non ne conosce bene le dinamiche. Il primo punto della “to-do list” è pertanto la comunicazione e proprio da questo dato siamo partiti per definire un piano di eventi che integri i roadshow che già Assofranchising organizza nelle principali città di Italia, a cui si aggiungano una serie di attività che rafforzino la percezione del franchising presso chi non ne ha mai sentito parlare o ne ha una conoscenza molto approssimativa. Sono innanzitutto loro, magari potenziali franchisor e franchisee, che cerchiamo come nostri interlocutori principali.

A livello strutturale, qual è il freno principale per la diffusione del franchising in Italia?

Come ho già detto abbiamo ancora bisogno di instaurare una vera e propria “cultura del franchising”. In questo senso l’appoggio e il supporto dei media generalisti e delle istituzioni è fondamentale. Se guardo alle dinamiche interne al settore, credo che la criticità più forte sia una certa frammentazione degli operatori. Sono troppo pochi i player grandi e strutturati. A monte c’è la tendenza a investire nell’idea più che nella formula e così facendo si creano delle microtendenze in concorrenza tra di loro che spesso hanno vita breve. Per dirla in modo più chiaro, mi auguro che in futuro ci siano sempre più figure alla Percassi (gruppo imprenditoriale e immobiliare che sviluppa marchi propri come Kiko Milano, Womo e Bullfrog, e di altri, come Starbucks, Lego, Victoria’s Secret, ndr). Abbiamo bisogno di imprenditori che non investano in una insegna, ma nel business format franchising, che portino competenze in un settore di operatori ancora tendenzialmente medio-piccoli. Dobbiamo entrare in una logica industriale, dove, solo per fare un esempio, non si parli più di “ristoratore di successo” ma di “imprenditore di successo”. Anche perché in Italia ci sono tantissimi fondi di investimento che dispongono di grande liquidità, ma non sanno dove investire: il franchising strutturato si dimostra molto appetibile.

Qual è il vostro obiettivo a mediolungo termine?

Portare quel sette per cento di cui parlavo prima, il peso del franchising sul retail italiano, almeno al venti e oltre. Come? La nostra parola chiave è partnership. Vogliamo rafforzare la collaborazione con le altre associazioni, per esempio. Siamo main partner del Salone Franchising Milano e stiamo lavorando da tempo con Fandango, l’organizzatore dell’evento, perché diventi sempre più una vetrina anche per i non addetti ai lavori. Per i nostri Soci stiamo predisponendo una serie di servizi, insieme a realtà importanti, in una prospettiva di maggiore vicinanza al business, con un occhio di riguardo al supporto nel recruiting degli affiliati, una fase delicata e cruciale per il successo di una rete. E.D.

 

Fonte: Start Franchising, N.3/2019

 

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